Bestiario nazista. Gli animali del Terzo Reich, Jan Mohnhaupt, Bollati Boringhieri, 2021

Ricostruire il passato è anche una questione di prospettive. Non ci riferiamo soltanto alla più ovvia delle constatazioni: inevitabilmente, la posizione ideologica, politica o religiosa dello studioso condiziona il suo approccio al tema che viene esaminato; in altre parole, lo spinge a privilegiare alcune fonti invece di altre, a mettere in evidenza certi eventi, e a minimizzare invece l’importanza di quelli sgraditi, spesso giudicati, a priori, scarsamente rilevanti oppure, più semplicemente, imbarazzanti. La questione di prospettive che ci interessa in questa sede è di natura diversa, e per far un esempio potremmo ricordare l’immagine che, del fascismo, emerge dall’analisi della scuola italiana negli anni Venti e degli anni Trenta, oppure il quadro che offre, del regime nazista e dell’ideologia hitleriana, lo studio delle donne al tempo del Terzo Reich.

Il punto di vista assunto da Jan Mohnhaupt è ancora più originale ed insolito. L’autore infatti, con taglio giornalistico e divulgativo, in un volume agile e scorrevole, propone una ricostruzione dell’intera parabola del Terzo Reich utilizzando come prospettiva il rapporto dei nazisti con gli animali. Ogni capitolo è pertanto dedicato ad un animale, o ad una specie particolare, capace di illuminare di volta in volta un momento della vicenda svoltasi negli anni 1933-1945, o un nodo saliente dell’ideologia hitleriana e della prassi nazionalsocialista. Anzi, nel limite del possibile, si cerca di partire da un caso emblematico: dalla storia concreta di un singolo animale (con tanto di nome), l’autore si sforza di costruire una microstoria. Insomma, quanto accaduto a quel singolo esemplare (stavo per scrivere individuo…) rappresenta la sorte non solo di migliaia di altri animali che ne hanno condiviso la sorte, ma anche di milioni di esseri umani, che vivevano in simbiosi con loro.

Il libro incomincia con Blondi, l’ultimo cane di Hitler, che tra il 1922 e il 1945 ebbe almeno 13 animali, tutti pastori tedeschi, con una sola eccezione. Al centro del primo capitolo, sta proprio la storia del «pastore tedesco», che venne selezionato nel 1901 da Max von Stephanitz,capitano di cavalleria dell’esercito prussiano.  Fu lui a fissare i parametri estetici che un esemplare doveva possedere, per poter essere considerato di razza pura; seguendo la stessa logica, nei medesimi anni, numerosi scienziati teorizzavano di modellare le società umane in base ai criteri della cosiddetta eugenetica: una disciplina secondo cui lo Stato avrebbe dovuto incentivare la nascita di individui sani, intelligenti e produttivi, ma anche intervenire per impedire la riproduzione dei soggetti malati e socialmente inutili. Snello, ma forte, agile e intelligente, il pastore tedesco divenne il simbolo stesso dell’ariano puro e perfetto.

Sul versante opposto, troviamo Mujel, il gatto dei coniugi Klemperer. Filologo di fama internazionale, nel 1933 Victor Klemperer era stato subito licenziato dall’università di Dresda, in quanto docente ebreo; durante la guerra, riuscì a sfuggire alla deportazione e alla morte, in quanto sua moglie Eva era ariana. In questo e in tutti gli altri casi di matrimonio misto, se il coniuge ariano non chiedeva il divorzio, con la sua presenza di fatto proteggeva il partner; d’altra parte (in larga misura, spesso, proprio al fine di spingere il soggetto di razza «superiore» all’esasperazione, cioè a spezzare il vincolo matrimoniale) le coppie miste furono soggette a soprusi e vessazioni di vario tipo, tra cui il divieto di possedere animali da compagnia. Nel suo diario, Viktor coglie alla perfezione il significato di quella misura: «Per Eva è sempre stato un sostegno e una consolazione. La sua voglia di resistere sarà ancora più debole di quanto ha dimostrato finora». Klemperer, inoltre, di fronte al fato che attende il suo amato gatto (vero e proprio morituro, in quanto condannato a morte) comprende che esso è una specie di prefigurazione di quello che potrebbe essere il suo personale destino. E proprio come, il giorno prima dell’iniezione letale, l’animale «gioca qua e là, si diverte e non sa che domani deve morire, così c’è qualcuno, forse, che sa altrettanto di noi e pensa: domani devono morire». Invece di consegnarlo alla polizia, Victor ed Eva decisero infine di sopprimere il povero gatto privatamente, presso il loro veterinario di fiducia.

Il libro cambia in parte registro quando esamina bachi da seta, maiali e cavalli. In tutte le scuole tedesche, a partire dal 1936 venivano infatti allevati bachi da seta, diligentemente nutriti dagli scolari con foglie di gelso. Il filato ottenuto non sarebbe stato utilizzato per fabbricare abiti di lusso, bensì paracadute per l’esercito; l’allevamento dei bachi, dunque, da un lato era una componente importante dello sforzo bellico, ma soprattutto serviva a far sì che, fin dalla più tenera età, i bambini si sentissero dei combattenti, che davano già il loro contributo alla vittoria del Terzo Reich, in attesa di diventare – come recitava uno slogan della Gioventù hitleriana – i soldati e gli ufficiali di domani. 

Il destino di coloro che, in uniforme, parteciparono davvero ed in prima linea alla guerra è rappresentato dalla sorte degli innumerevoli cavalli che vennero impiegati sul fronte orientale. Sarebbe assurdo minimizzare il ruolo svolto dai carri armati nella seconda guerra mondiale; tale doveroso riconoscimento, però, non ci deve far dimenticare la presenza di ben 750 000 cavalli, a disposizione dell’esercito tedesco, il 22 giugno 1941, al momento dell’invasione dell’URSS. Come gli uomini che li guidano, anch’essi moriranno a migliaia (52 000 solo a Stalingrado e 30 000 solo a Sebastopoli). In tutta la guerra, la Germania perderà circa 1,8 milioni di equini: vera metafora emblematica del disastro che Hitler ha provocato al suo Paese e alla popolazione tedesca, con i suoi progetti di conquista dello Spazio vitale e di costruzione del Reich millenario.

F.M.F.

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